Alcune date della colonizzazione romana:

218 a.C. probabile fondazione di Taneto (Tanetum) e Brescello (Brixellum)

187 a.C. il console Marco Emilio Lepido traccia la via Emilia (da Rimini a Piacenza)

187-185 a.C. fondazione di Reggio Emilia (Regium Lepidi) nasce come presidio militare a difesa del ponte in legno della via Emilia che attraversava il Crostolo (che a quel tempo scorreva nell’attuale corso Garibaldi).

Brescello, Reggio Emilia e Taneto sono considerati i principali centri urbani romani del reggiano. Il porto fluviale di Brescello è un importante nodo di comunicazione con Parma, Taneto, Mantova, Cremona e Reggio Emilia.

L’ACQUEDOTTO ROMANO DI BRIXELLUM

Realizzato probabilmente nel I secolo d.C., derivava acqua potabile dalle fonti di Gruma a sud ovest dell’abitato di Campegine e con un tracciato di 15 Km raggiungeva il presidio romano di Brixellum.

  • Nel 1868 Gaetano Chierici, rinviene nella piazza principale di Brescello, un acquedotto romano.
  • Il 30 agosto 1904 in una pubblicazione del giornale «Italia Centrale» si legge del ritrovamento in località Campi Rossi di Campegine di un manufatto di acquedotto in pietra e bitume con muri dello spessore di 40 cm e altezza di m 1,53.
  • Scavi successivi indicano resti del manufatto a Casalpò in via Argine della Mola, ed a Godezza ed Enzola di Poviglio.
  • Nel 1999 scavi della Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna in località Campi Rossi di Campegine, portano alla luce un breve tratto di acquedotto di dimensione esterna di larghezza m 1,50 d altezza m 2,10, alla profondità di 60 cm.
  • Nel 2001-2002 durante i lavori per l’Alta Velocità riemerge l’acquedotto, gli scavi della Soprintendenza Archeologica ne scoprono un tratto di 30 m, di larghezza m 1,50 e altezza m 1,80. La struttura è in conglomerato cementizio romano con superficie esterna della volta lisciata e ciottoli legati da cocciopesto disposti regolarmente sulla sommità e sul fondo in modo da formare un piano regolare. Il condotto sotterraneo era dotato di pozzetti di ispezione rettangolari in laterizio.

L’ACQUEDOTTO ROMANO DELLA REGIUM LEPIDI

La storia dell’acquedotto romano della Regium Lepidi pare poter esser scritta a breve, grazie ad un ritrovamento nel gennaio 2019. Fino ad allora non era ancora chiara a causa dei pochi rinvenimenti archeologici. Si ritiene che la zona di Bazzarola, a sud est della città, costituisse l’area di approvvigionamento idrico dell’acquedotto per la presenza del Rio Acqua Chiara e delle abbondanti acque sorgive.

  • Nel 1888 l’archeologo Giovanni Bandieri, rinviene a circa 1,5 Km a sud-est della città una struttura di acquedotto in terracotta, con pozzetto di ispezione circolare in mattoni.
  • Nel 1998 nel corso di lavori nell’area dell’ospedale vengono alla luce a 4 m di profondità due condotte idriche in terracotta parallele.
  • Nel 2012 nel corso dei lavori di costruzione del nuovo polo oncologico dell’ospedale è stato rinvenuto un secondo acquedotto, più a sud del precedente rinvenimento, a quota superiore e probabilmente più recente. Questo secondo acquedotto è costituito da una fondazione in ciottoli su cui poggiano laterizi a sezione ad U con coppi di copertura e da pozzetti di ispezione circolari in mattoni, analogo al ritrovamento del 1888 ed in linea con questa, si ritiene che possa trattarsi dello stesso acquedotto. La datazione di entrambi si collocherebbe fra la fine del I secolo a. C. e l’inizio del II secolo d.C. in età augustea o giulio-claudia. La struttura e la sua limitata portata ne attribuirebbero la destinazione ad un impianto destinato a terme o fontane, e non all’acquedotto principale della Regium Lepidi.
  • Gennaio 2019, resti di quello che pare costituire l’antico acquedotto romano della Regium Lepidi vengono rinvenuti nella zona sud-est della città, una massiccia struttura in conglomerato cementizio romano analoga a quella dell’acquedotto di Brixellum.

Sezione acquedotti romani ed ottocenteschi a RE

STORIA RECENTE – L’ACQUEDOTTO LEVI – 1885

Nell’ottocento la città di Reggio Emilia fu funestata da numerose epidemie di colera, importanti quelle del 1836, 1855 e 1867. La causa delle epidemie si rivelò l’acqua, estratta da pozzi poco profondi scavati all’interno della cerchia muraria ed in gran parte inquinati da acque fognarie. Nell’anno 1876 per volontà di Ulderico Levi di ricchissima famiglia ebraica e con interessi economici nella città, iniziano i primi studi per addurre alla città di Reggio Emilia acqua potabile.

Nel 1879 una commissione tecnica incaricata della ricerca, di cui faceva parte l’ing. Pellegrino Spallanzani del laboratorio chimico agrario di Reggio Emilia, individuò le acque del torrente Enza come le più idonee per qualità e quantità per essere addotte alla città. Caso strano, nemmeno a quel tempo le amministrazioni pubbliche avevano soldi da stanziare ed il completo onere finanziario di 463’000 lire (al 2018 corrispondenti a circa 1,9 milioni di €) se lo assunse Ulderico Levi, il progetto esecutivo fu presentato dalla ditta Galopin-Sue Jacob e C. di Savona e compilato dall’idraulico professor Gustavo Bocchia.

Il 14 aprile 1881 fu stipulato il contratto ed iniziarono i lavori, prevedevano la costruzione e la successiva gestione per 40 anni dell’acquedotto e furono affidati alla ditta Galopin-Sue, azienda che era subentrata alla savonese Martinet e F.lli Sevez che operava in vari settori: ponti in ferro, caldaie a vapore, condotte per acqua, opere idrauliche, vagoni e rotaie. Ma nel 1883 la Galopin finisce in liquidazione ed a questa subentra la Societè Metallurgique Lyonnaise di Lione (Francia).

Il 1 gennaio 1885 le opere vennero ultimate e l’acqua del torrente Enza introdotta in città, l’inaugurazione avvenne il 22 novembre 1885 presso il serbatoio di Codemondo ed alla fontana monumentale Ferrari Bonini dei giardini pubblici di Reggio Emilia, a fianco del teatro municipale Valli. Lo stesso anno segna l’ultima epidemia di colera nella città.

Le opere di presa erano 5 sorgenti di sub-alveo del diametro di m 9,50 con soffitto a cupola in muratura di mattoni il cui pavimento era la ghiaia del torrente Enza. Copiose infiltrazioni d’acqua attraversando gli strati ghiaiosi di antiche alluvioni affluivano alle sorgenti, pur non essendo acque molto profonde erano particolarmente pure ed idonee all’uso potabile e riempivano i manufatti fino al livello raggiungibile dalla falda in quel momento, entrando poi in acquedotto da una saracinesca di regolazione. Tre sorgenti furono unite fra loro mentre le due rimanenti dislocate singolarmente. Furono realizzate su un area di 57’302 m2 in località Prati Livelli, nell’immediata periferia sud di Montecchio, su un terreno in cui le acque di sub-alveo del torrente Enza affioravano fin quasi alla superficie ed erano utilizzate per usi irrigui, forza motrice per i mulini e per l’immissione nelle fosse del castello. Qui fu anche realizzato un fabbricato per il custode oggi non più esistente.

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Acquedotto Levi – Area Sorgenti

Acquedotto Levi – Le sorgenti 1 2 3

  

Acquedotto Levi - Sorgenti 1 2 3 - Scala di accesso

Acquedotto Levi – Sorgenti 1 2 3 – Scala di accesso

Acquedotto Levi – Sorgenti 1 2 3 – Saracinesca di uscita della vasca

Acquedotto Levi – Sorgenti 1 2 3 – Finestrino di ispezione della vasca

Acquedotto Levi – Sorgenti 1 2 3 – Interno della sorgente 2

Acquedotto Levi – Sorgenti 1 2 3 – Pianta

Acquedotto Levi – Sorgenti 1 2 3 – Sezione della sorgente 2

Dall’area delle sorgenti partiva una condotta ovoidale di cm 60 x 40, di spessore variabile fra 15 e 40 cm, realizzata in opera utilizzando i ciottoli del luogo con ghiaia e sabbia uniti con cemento. Si ritiene si tratti della prima applicazione sul suolo reggiano del beton importato dalla Francia.

La condotta, in questa tratta, funzionava a gravità, per la maggior parte a pelo libero e con un dislivello di 12,40 m (pendenza media 1,2 per mille) da Montecchio raggiungeva Codemondo. Il percorso della condotta di circa 10 Km era però tutt’altro che semplice, e la presenza di numerosi corsi d’acqua e canali, nonché di zone con considerevoli variazioni altimetriche, costringe alla realizzazione di numerosi sifoni. In alcuni casi le rilevanti profondità dei sifoni determinano sul fondo di questi pressioni insostenibili, quanto meno alla lunga, da un condotto in cemento. In questi tratti particolari sono quindi stati utilizzati tubi in ghisa (615 m) ed in ferro (430 m) in grado di sopportare tale pressione. La pendenza delle livellette della condotta in cemento era compresa fra lo 0,5 ed il 3,4 per mille, con alcuni brevi tratti anche in debole contro-pendenza. Lungo questi 10 Km di condotta erano posizionati 27 manufatti cilindrici di sfiato alti 2,50 m, con funzioni molteplici. Segnalavano l’inizio e la fine delle tratte metalliche dei sifoni, svolgevano la funzione di “sfiato” permettendo cioè l’ingresso dell’aria in fase di svuotamento della condotta e l’uscita dell’aria in fase di riempimento, indicavano nella campagna la posizione del tubo sottostante, permettevano l’aerazione e limitavano la pressione sia nel caso di chiusura veloce di una valvola a valle (colpo d’ariete) che di aumento della pressione in mancanza di consumo. Alcuni di questi però erano chiusi in sommità e quindi non assolvevano le funzioni di sfiato e di limitazione della pressione.

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Acquedotto Levi – Tracciato antico dell’acquedotto

Acquedotto Levi – Tracciato antico dell’acquedotto

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Acquedotto Levi – Ricostruzione del tracciato dell’acquedotto

Acquedotto Levi – Ricostruzione del tracciato dell’acquedotto

Nessun problema nella tratta in cemento Montecchio-Cavriago, la condotta a bassa pendenza funzionava a pelo libero come una fognatura, il riempimento era del 30-35% rispettivamente con portate di 23 e 33 l/s e la pressione era inesistente. Solo eccezionalmente, in caso di chiusura a valle, l’acqua avrebbe riempito totalmente la tubazione risalendo dagli sfiati e fuoriuscendo alla sommità arrivando a generare una pressione massima di 0,5 bar. Le piccole variazioni altimetriche ed i sifoni sotto fossi e canali poco incidono in questo tratto sulla pressione interna. Il primo sifone è sotto il canale d’Enza in centro a Montecchio e l’acquedotto scende e risale di m 2,20, seguono due piccoli sifoni con salti dell’ordine di 66 e 45 cm, rispettivamente sotto al fosso Canalina e al fosso di confine fra i comuni di Montecchio e Bibbiano, infine un quarto sifone in cui si abbassa e risale di m 1,14 sotto il canale di Bibbiano a nord di Barco. Ma nell’attraversamento del Rio di Cavriago, in prossimità di viottolo Belvedere, l’abbassamento del condotto rispetto alla livelletta è di 13,65 m e la pressione idrostatica di normale esercizio arriva sul fondo a 1,4 bar mentre quella massima con tutti gli sfiati chiusi esercitata dal livello dell’acqua in sorgente sarebbe di 2,5 bar. Qui vengono utilizzati 314 m di tubo in ferro. Poco dopo di nuovo un sifone in ferro di 116 m sotto via Girondola, la vecchia strada per Bibbiano, prossima a via Pianella, qui l’abbassamento è di soli 4 metri. Gli ultimi due sifoni sono realizzati in ghisa, resi necessari dalle variazioni dell’andamento altimetrico del suolo in prossimità di alcuni ruscelli a sud-est di Cavriago. Sotto il Rio della Valle il sifone è lungo 470 m con un abbassamento di 12,80 m e la normale pressione di esercizio sul fondo è di 1,3 bar con un massimo raggiungibile dal livello della sorgente di 2,6 bar. L’ultimo sifone interessa un fosso affluente nel Rio della Valle, di lunghezza 145 m con 6,80 m di abbassamento ed una pressione di esercizio di 0,7 bar sul fondo (max 2,1 bar).

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Acquedotto Levi – Profilo altimetrico frammento

La condotta a pelo libero raggiungeva Codemondo ed entrava in due vasche interrate parallele da 1’500 m3 a cui era annessa la casa del custode. Le strutture sono tutt’oggi esistenti e funzionanti. Le vasche sono coperte a volta, lunghe 60,95 m e larghe m 5,00 con altezza in volta di m 3,78. Ad una estremità delle vasche si trova la casa del custode, nel cui sotterraneo sono ubicati gli organi di manovra per l’uscita dell’acqua. All’altra estremità un piccolo edificio per la camera di manovra per controllare l’ingresso dell’acqua ed accedere alle vasche. Le saracinesche in ghisa erano flangiate e per accoppiarle alla flangia di inizio tubazione montavano guarnizioni in piombo, stringendo i bulloni il piombo si deformava ed aderiva perfettamente alle 2 flange creando la tenuta. Le saracinesche dell’acquedotto Levi sono a chiusura sinistrorsa, quelle odierne sono destrorse come i rubinetti di casa.

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Acquedotto Levi – Codemondo – Vasche 1885

Acquedotto Levi – Codemondo – Le vasche del 1885

Acquedotto Levi – Codemondo – Casa del custode

Da Codemondo partiva poi una condotta in pressione in ghisa grigia non rivestita del diametro di 25 cm, era lunga 7 Km con un dislivello di 27,50 m ed alimentava la città con 23 l/sec di portata addotta. La pressione idrostatica all’ingresso in città raggiungeva circa 2,5 bar. La condotta era posizionata lungo la strada Cavriago-Reggio Emilia. Sul condotto in ghisa nel corso di riparazioni di perdite sono stati rinvenuti pezzi di legno infissi a martellate a chiusura di fori che vi si erano prodotti. Il legno gonfiandosi con l’umidità manteneva la tenuta idraulica della riparazione, mentre un grosso sasso ne impediva lo sfilamento. Questo pratica è collocabile in periodi precedenti gli anni ’70.

Acquedotto Levi – Tubo in ghisa del condotto Codemondo-Reggio Emilia – Museo dell’acqua di Reggio Est

Nel luglio 1921, terminati i 40 anni di gestione della Societè Metallurgique Lyonnaise, l’acquedotto si trovava ovviamente in cattive condizioni e la ditta lionese non era intenzionata a provvedere alle riparazioni. Ulderico Levi, nel frattempo divenuto senatore, ne fece donazione al comune di Reggio Emilia con richiesta del donante che l’acquedotto non portasse il suo nome ma si chiamasse acquedotto reggiano.

L’avvento dell’energia elettrica determina dal 1924 sviluppi tecnologici utili al potenziamento dell’acquedotto:

  • alle vasche di Codemondo per aumentare la pressione in rete fu costruito nel 1929 un serbatoio pensile da 150 m3, consentendo di elevare di 28 m il dislivello fra Codemondo e Reggio Emilia e portando a 5 bar la pressione. Accanto alle vasche di Codemondo furono poi perforati 2 pozzi che vennero immessi nelle vasche. La camera di manovra fu ampliata fino al di sopra delle vasche per collocarvi un impianto di disinfezione ad ozono. Un sistema di elettropompe orizzontali situate al piano terra del serbatoio pensile prelevava l’acqua dalle vasche caricando il serbatoio in quota e fornendo il carico idraulico all’acquedotto.

Acquedotto Levi – Codemondo pensile – Pompa di sollevamento dalle vasche

Acquedotto Levi – Codemondo pensile – Pompa di adescamento per l’attivazione delle pompe di sollevamento

Acquedotto Levi – Produttore di ozono – Museo dell’acqua di Reggio Est

  • alle sorgenti Levi di Montecchio era precedentemente stata aggiunta una sesta opera di presa realizzata dalla ditta concessionaria. Successivamente vennero realizzate, accanto alle sorgenti primarie, 3 stazioni di estrazione munite di elettropompe che consentirono di incrementare di 10 l/sec. la portata iniziale, portandola a 33 l/sec.. Le 3 stazioni di estrazione avevano però forti limiti di emungimento, i gruppi di pompaggio montavano elettropompe orizzontali, con motori non sommergibili e con queste macchine la profondità massima di aspirazione poteva arrivare solo a 10 metri. Per sfruttarle al meglio il pavimento dei locali su cui erano alloggiate le pompe, venne realizzato a circa 1,5-2 metri di profondità, consentendo così l’estrazione fino a 12 m dal piano di campagna. Per avviare queste pompe era necessario riempire il condotto di prelievo utilizzando piccole pompe manuali del tipo di Ctesibio. La stazione di estrazione 1, prossima al gruppo di sorgenti 1-2-3, era dotata di 2 elettropompe mentre le stazioni 2 e 3 erano ad elettropompa singola. Accanto alla stazione 2 c’era la cabina elettrica di trasformazione. Al termine della condotta in cui affluivano le 3 stazioni di estrazione si trovava la saracinesca generale di uscita che immetteva in un pozzetto dotato di uno stramazzo graduato che consentiva di rilevare la portata in uscita prima di immetterla nel condotto a gravità in cemento.

Acquedotto Levi – Pompa orizzontale della stazione di rilancio delle sorgenti Levi a Montecchio – Museo dell’acqua di Reggio Est

Acquedotto Levi – Quadro elettrico di una pompa di una stazione di rilancio di Montecchio – Museo dell’acqua di Reggio Est

Acquedotto Levi – Stramazzo graduato sull’uscita dalle stazioni di rilancio di Montecchio

Nel 1953 la quantità d’acqua erogabile alla città di Reggio Emilia raggiungeva i 140-150 l/sec. e per soddisfare le crescenti richieste d’acqua occorreva reperire nuova risorsa idrica. Fra il febbraio 1959 ed il gennaio 1960 furono perforati 4 pozzi in località Case Corti di Cavriago e nel giugno 1966 un quinto pozzo, contemporaneamente venne edificata la centrale idrica di accumulo e pompaggio di via Gorizia a Reggio Emilia, con 2 vasche a terra da 1’600 m3 ciascuna, un serbatoio pensile da 950 m3 a cui furono collegati i nuovi pozzi realizzati a Case Corti. Altri nuovi pozzi vennero perforati nella periferia della città oggi pressoché tutti dismessi ed edificato il serbatoio di Rivalta da 460 m3, che riceveva 40 l/sec. dall’acquedotto di Gabellina le cui sorgenti si trovano nell’ex comune di Collagna, ora Ventasso. Negli anni ’50 il municipio di Reggio Emilia realizzò accanto alla camera di manovra in ingresso vasche di Codemondo una ulteriore vasca interrata di m 6,00×4,00 che utilizzò per la clorazione dell’acqua, con annesso un locale interrato di pompaggio. Nel luglio 1972 l’acqua di due nuovi pozzi appena perforati in località Caneparini di Cavriago (a cui se ne aggiunse un terzo nel 1977) fecero il loro ingresso mediante un tubo del diametro di 35 cm nel serbatoio di Codemondo. L’ingresso dell’acquedotto Levi nel serbatoio venne demolito e le sorgenti Levi cessarono di alimentare l’acquedotto di Reggio Emilia, la portata si era impoverita per effetto dell’abbassamento dell’alveo del torrente Enza di ben 6,50 m, causato dalle escavazioni di ghiaia che ne avevano ridotto la portata nel periodo estivo a soli 5 l/sec. determinando anche l’inizio di processi inquinanti.

Acquedotto Levi – Dismissione

Le sorgenti Levi continuarono ad alimentare l’acquedotto di Montecchio, nel dicembre 1972 il comune perforò un pozzo in località Quarticello, poco distante dalle sorgenti Levi, nell’intento di abbandonarle. Il pozzo forniva una portata di 50 l/sec. ma la falda di subalveo terminava a 10 m di profondità su uno strato argilloso e quella al di sotto, che finiva a 38 metri sulla base argillosa marina, aveva acque qualitativamente compromesse per la presenza di idrogeno solforato che ne caratterizzavano odore e sapore. Dopo la costituzione nel 1974 del Consorzio Intercomunale Gas Acqua di Reggio Emilia (AGAC) ed approntato un sistema per eliminare l’idrogeno solforato, il pozzo Quarticello viene collegato alla rete distributiva dell’acquedotto di Montecchio. Le sorgenti Levi trovandosi a rischio di inquinamento a causa del peggioramento qualitativo delle acque del torrente Enza furono quindi definitivamente dismesse. La storia dell’acquedotto Levi termina qui ma le vasche del serbatoio di Codemondo continuano ancora oggi ad assolvere la loro funzione di accumulo dal 1885. Non più al servizio dell’acquedotto di Reggio, che ha acquisito nuove fonti e serbatoi, ma trasferite dopo il 1974 a quello di Cavriago con la costruzione di un nuovo pompaggio, alloggiato nel preesistente locale di ozonizzazione situato sulle vasche di Codemondo, che da allora invia l’acqua al serbatoio di Pratonera a monte di Cavriago, da cui alimenta il comune. Il serbatoio pensile di Codemondo passa al servizio dell’abitato di Codemondo fino alla definitiva dismissione nel 2001 a seguito di modifiche impiantistiche. L’antico acquedotto Levi in ghisa fra Cavriago e Reggio Emilia (che venne affiancato da un altro condotto di uguale diametro dalla ditta concessionaria ed entrambe dotate di venturimetri) sono state scollegate e dismesse, le vasche Levi di Codemondo sono oggi alimentate principalmente dai pozzi di Quercioli di Cavriago e sporadicamente da quelli di Caneparini.

La condotta in cemento da Montecchio a Cavriago continuò comunque ad addurre acqua per usi non potabili negli anni seguenti la dismissione scaricando in un laghetto all’incrocio fra via Favorita e via Grisendi a Barco di Bibbiano. Molti proprietari dei terreni su cui passava l’acquedotto iniziarono a rimuovere le parti fuori terra dei manufatti cilindrici degli sfiati, oggetti indesiderati e considerati poco estetici soprattutto nelle zone divenute urbanizzate e ne chiusero il foro nei modi più disparati. Dei 27 sfiati iniziali posti sulla condotta nel 1885, nel gennaio 2019 dopo 134 anni, ne sono rimasti solo 6 (3 in comune di Montecchio, 2 in comune di Bibbiano ed 1 in comune di Cavriago).

 

 

Acquedotto Levi – Sfiato 2 in strada Bassa Montecchio

Nell’autunno 1996 si verifica un fatto per modo di dire imprevisto, i locali interrati di una abitazione nel centro di Montecchio si allagano. L’acqua fuoriesce da un manufatto di sfiato mozzato a livello del terreno e ricoperto con un chiusino in ghisa. Ovvio che quel “coso” indesiderato, se c’era, a qualcosa doveva servire, ovvero a lasciare innalzare il livello interno dell’acqua senza farla uscire. La condotta improvvisamente non era più in grado di convogliare acqua verso valle, forse un cedimento causato dal terremoto di pochi giorni prima o una chiusura volontaria la aveva ostruita. Il livello dell’acqua nel condotto si era quindi innalzato e non trovando più contenimento nel manufatto di sfiato rimosso, fuoriusciva copiosa a livello del terreno. Nell’impossibilità di individuare il punto e la causa dell’occlusione si decide di chiudere l’uscita dell’acqua dalle sorgenti Levi. La situazione sembra risolta ma dopo alcuni giorni un nuovo problema si ripresenta a monte, proprio attorno alle sorgenti Levi, i campi coltivati limitrofi alle sorgenti sono allagati. Era evidente che quelle aree erano geologicamente predisposte all’affioramento periodico di acque sorgive e che l’acquedotto dal 1885 al 1996 vi aveva svolto una funzione di drenaggio. Il 13 novembre 1996, circa 250 metri a valle delle sorgenti Levi, intercetto il condotto in uscita in un letto ghiaioso saturo d’acqua dove 2 motopompe riescono a stento a tener svuotato lo scavo. Perforata la sommità in calcestruzzo del manufatto, peraltro molto resistente, ne chiudiamo l’afflusso verso valle deviandolo in un fosso di bonifica tracimatore-irriguo nelle vicinanze. Nei 6 giorni successivi il livello della falda si abbassa di 1 metro riportando all’asciutto i terreni agricoli.

Questo evento fu il mio primo incontro con la storia dell’acquedotto Levi e di quella di un grande uomo. Ce ne fossero oggi di personaggi come Ulderico Levi a mettere i propri soldi al servizio del bene comune. Lo hanno nominato senatore e mi pare il minimo, peccato sia andato perso lo stampino e di conseguenza non più riproducibile o imitabile da alcuno che ricopra cariche amministrative.

Attualmente la zona delle sorgenti Enza dell’acquedotto Levi è un area di riequilibrio ecologico affidata al comune di Montecchio.

RESTAURO DEI QUADRI ELETTRICI

Il recupero dei quadri elettrici delle stazioni di sollevamento delle sorgenti Levi, per sottrarli al degrado del tempo è visibile in queste foto. L’installazione di questi quadri ha inizio nel 1924 ad opera del municipio di Reggio Emilia per potenziare il prelievo dalle falde e risultano così strutturati:

Il voltmetro è in grado, attraverso il selettore G a 3 posizioni, di misurare la tensione presente fra i terminali AB BC e CD.

L’amperometro rileva l’intensità di corrente che scorre sulla linea A.

Gli interruttori a coltello sulle tre linee sono azionati manualmente per l’apertura e la chiusura del circuito.

Un sistema di sgancio automatico dei coltelli in caso di anomalia apre i circuiti, è realizzato con due elettromagneti a limitazione amperometrica regolabile (D ed F) e da un semplice elettromagnete E.

Acquedotto Levi – Quadro elettrico – Museo dell’acqua di Reggio Est

 

 

 

Acquedotto Levi – Restauro di quadro elettrico

Acquedotto Levi – Un limitatore amperometrico prima del restauro e la ricollocazione sul quadro elettrico

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Acquedotto Levi – Funzionamento del sistema elettromagnetico di sgancio dell’interruttore